Scopri come proteggere il tuo cuore: test genetico della trombofilia
Giornata Mondiale del Cuore
Sono diverse e svariate le analisi che si possono eseguire per conoscere meglio il nostro patrimonio genetico. Alcune di queste analisi sono particolarmente importanti perché riguardano uno dei nostri apparati principali, quello circolatorio, e le anomalie del nostro DNA devono essere prese in considerazione nelle scelte della nostra vita quotidiana e del nostro stile di vita. È il caso dell’analisi della trombofilia.
La trombofilia può essere definita come una predisposizione a formare coaguli (che prendono il nome di trombi) all’interno dei vasi sanguigni, che in maniera parziale o completa possono impedire il flusso sanguigno. La trombofilia può essere ereditaria oppure “acquisita” se associata a una patologia (ad esempio un tumore), all’utilizzo di farmaci (ad esempio i contraccettivi orali) o a una determinata condizione (come la gravidanza o il post-partum). Altri fattori che possono aumentare il rischio di eventi trombotici sono: interventi chirurgici, l’aumento dell’età, l’obesità, il fumo, la sedentarietà e il riposo a letto per più di tre giorni.
Le varianti genetiche associate a una maggiore suscettibilità alla trombosi coinvolgono principalmente alcuni fattori della coagulazione, ossia un insieme di molecole che prendono parte al processo di formazione del coagulo. I geni in considerazione sono quelli relativi al fattore V e al fattore II della coagulazione (protrombina) ed il gene MTHFR (metilentetraidrofolatoreduttasi). Anche altri geni sono stati associati a stati trombotici, tra i quali: fattore XIII, beta fibrinogeno, PAI-1, HPA, ApoE, ACE, AGT.
La manifestazione clinica predominante della trombofilia è il tromboembolismo venoso (TEV) che ha un grande impatto sulla salute della popolazione generale in quanto ha un’incidenza di 1 persona su 1000 all’anno. Le principali manifestazioni cliniche del TEV sono la trombosi venosa profonda (di solito si verifica nelle gambe) e l’embolia polmonare, che sono responsabili di una notevole mortalità.
La trombofilia può anche presentarsi come perdita ricorrente del feto o altre complicazioni della gravidanza.
Dal punto di vista della trasmissione genetica, la maggior parte dei difetti trombofilici si presenta in forma eterozigote (ossia è presente una copia del gene in questione normale e una mutata) e si trasmette con modalità autosomica dominante (ossia se il padre/madre trasmette alla prole la copia mutata del gene, questa “domina” sulla copia normale e si manifesterà la patologia) a penetranza incompleta (a causa di fattori esterni la malattia non si manifesta in tutti gli individui che hanno ereditato la copia mutata del gene). Le persone affette hanno una possibilità su due di trasmettere la predisposizione alla malattia ai figli, indipendentemente dal genere.
Per chi è indicato il test per la trombofilia?
• Soggetti con precedenti eventi trombotici
• Familiari di pazienti con trombofilia nota, in particolare parenti di primo grado
• Donne che intendono avere un figlio
• Donne che intendono assumere contraccettivi orali
• Donne con una storia di poliabortività
• Donne con precedente figlio con DTN (difetto tubo neurale)
• Prima di un intervento chirurgico ad alto rischio o di una chemioterapia con inibitori dell’angiogenesi
• Gestanti con ritardo di crescita intrauterino (IUGR), tromboflebite o trombosi placentare
• Soggetti diabetici
Trombofilia e Abortività
I fenomeni di abortività in gravidanza sono purtroppo eventi non rari. Le donne affette da trombofilia ereditaria sono infatti la categoria più a rischio di aborto in utero a gravidanza avanzata. Nella maggior parte dei casi la morte del feto è causata da alterazioni geniche di uno o più fattori della coagulazione del sangue che determinano l’instaurarsi di una trombosi placentare, caratterizzata da un’ostruzione dei vasi sanguigni placentari.
In gravidanza, una condizione genetica di eterozigosi o omozigosi (rispettivamente se si è ereditata solo una copia mutata del gene o entrambe le copie) per uno o più̀ di questi geni è considerata predisponente all’aborto spontaneo.
Il test genetico della trombofilia
Il test si basa sull’analisi di 6 polimorfismi genetici (variazioni della sequenza di un gene presenti almeno nell’1% della popolazione), localizzati su 3 geni, che sono associati ad un aumentato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari, allo scopo di determinare dei profili di rischio individuali finalizzati al trattamento personalizzato e alla prevenzione precoce di queste malattie. Il test genetico di Genechron valuta 6 + 1 fattori della coagulazione attraverso un semplice tampone buccale o il classico prelievo di sangue, senza necessità di digiuno.
Fattore II (Protrombina): variante G20210A 3’UTR
La protrombina o fattore II della coagulazione svolge un ruolo fondamentale nella cascata coagulativa in quanto la sua attivazione in trombina porta alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi alla formazione del coagulo.
È stata descritta una variante genetica comune del gene (G20210A 3’UTR) che è associata ad elevati livelli di protrombina funzionale nel plasma e conseguente aumentato rischio di trombosi, specie di tipo venosa. Per gli eterozigoti c’è un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi venosa, di 5 volte per l’ictus ischemico, di 5 volte per infarto miocardico in donne giovani, di 1,5 volte per gli uomini, di 7 volte nei diabetici, di 10 volte per trombosi delle vene cerebrali e di 149 volte in donne che assumono contraccettivi orali.
Fattore V: variante di Leiden (G1691A) e mutazioni Y1702C, R306T (Cambridge), H1299R
Il fattore V è un cofattore essenziale per l’attivazione della protrombina (fattore II) a trombina. Il suo effetto pro-coagulante è normalmente inibito dalla proteina C attivata (APC) che taglia il fattore V attivato in tre parti. Una mutazione del gene che codifica per il fattore V (G1691A) impedisce il taglio da parte della proteina C attivata. Ne consegue una resistenza alla proteina C attivata nei test di laboratorio ed una maggiore attività pro-coagulante del fattore V attivato che predispone alla trombosi. Tale variante è definita fattore V di Leiden (località in cui fu scoperta). I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti hanno un rischio pari ad 80 volte. In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi per il fattore V di Leiden è considerata predisponente all’aborto spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari, alla sindrome HELLP (emolisi, elevazione enzimi epatici, piastrinopenia). I soggetti portatori di fattore V di Leiden dovrebbero pertanto sottoporsi a profilassi con anticoagulanti in corso di gravidanza o in funzione di interventi chirurgici ed evitare l’assunzione di contraccettivi orali.
Anche altre mutazioni del gene del Fattore V, quali la mutazione Y1702C, R306T (Cambridge), H1299R, incrementano il rischio di trombosi.
MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi): polimorfismi C677T e A1298C
Rare mutazioni (trasmesse con modalità autosomica recessiva, ossia la patologia si manifesta solo se vengono ereditate entrambe le copie mutate del gene) possono causare la deficienza grave di MTHFR con attività enzimatica inferiore al 20% e comparsa di omocisteinemia ed omocistinuria e bassi livelli plasmatici di acido folico. La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello sviluppo psico-motorio e massivi fenomeni trombotici.
Accanto alla deficienza grave di MTHFR è stato identificato un polimorfismo genetico comune (C677T), che comporta livelli elevati nel sangue di omocisteina specie dopo carico orale di metionina e diminuzione dei livelli plasmatici di folati. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR (A1298C) è stata associata ad una ridotta attività̀ enzimatica (circa il 60% singolarmente; circa il 40% se presente in associazione alla mutazione C677T). Questa mutazione, in pazienti portatori della mutazione C677T, determina un aumento dei livelli ematici di omocisteina.
Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattori di rischio per la malattia vascolare (trombosi arteriosa), dal momento che favoriscono la formazione della placca aterosclerotica e interferiscono con la funzione piastrinica, incrementando quindi la tendenza alla trombosi. Inoltre, in condizioni di carenza alimentare di acido folico, la variante termolabile della MTHFR porta a livelli molto bassi l’acido folico nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo neurale nelle donne in gravidanza.
È possibile estendere l’analisi ad altri geni oltre i 6 principali, fra cui PAI1 4G/5G:
L’inibitore 1 dell’attivatore del plasminogeno (PAI1 o SERPINE1) è una proteina (serina proteasi) coinvolta nella cascata proteolitica della fibrinolisi, ossia il processo fisiologico di rottura dei coaguli di sangue. PAI1 agisce come principale inibitore dell’attivatore del plasminogeno di tipo tissutale (tPA) e dell’urochinasi (uPA), che sono proteine attivatrici della fibrinolisi attraverso la scissione del plasminogeno per formare plasmina. La plasmina a sua volta scinde la fibrina in prodotti di degradazione solubili e media la degradazione della matrice extracellulare da sola o in combinazione con le metalloproteasi della matrice.
È stato dimostrato che l’aumento dei livelli plasmatici di PAI1 è correlato a dei polimorfismi di delezione/inserzione di una guanina (4G/5G) nel promotore del gene PAI1. L’allele 4G (ossia quello in cui vi è una delezione di una guanina e sono dunque presenti 4 guanine) è associato a una maggiore trascrizione e attività di PAI1 nel plasma. Sebbene entrambi gli alleli leghino un attivatore trascrizionale, l’allele 5G (quello in cui vi è l’inserzione di una guanina e sono quindi presenti 5 guanine) lega anche una proteina repressore a un sito di legame sovrapposto. Un aumento dell’attività plasmatica del PAI1 porta a una maggiore inibizione dell’attività fibrinolitica e quindi a un aumento del rischio di trombosi arteriosa e venosa, un fattore di rischio significativo per la malattia coronarica, l’infarto miocardico e l’aborto spontaneo ricorrente. In particolare la presenza del polimorfismo 4G/4G aumenta il rischio di tromboembolismo venoso e insorgenza della malattia coronarica.
In uno studio sul genotipo di PAI1 in bambini affetti da malattia meningococcica è stato dimostrato che la concentrazione media di PAI1 nei bambini deceduti era sostanzialmente superiore a quella dei sopravvissuti. I pazienti con il genotipo 4G/4G avevano concentrazioni di PAI1 significativamente più elevate rispetto a quelli con il genotipo 4G/5G o 5G/5G e avevano un rischio maggiore di morte. I risultati suggeriscono che la compromissione della fibrinolisi è un fattore importante nella fisiopatologia della sepsi meningococcica.
Anche la preeclampsia, o gestosi, una sindrome caratterizzata dalla presenza di segni clinici quali edema, proteinuria o ipertensione in una donna gravida, è associata al polimorfismo 4G/5G e in particolare all’omozigosi 4G/4G.
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