Una dieta in base al proprio DNA? I geni analizzati dalla nutrigenetica

Gen 18, 2024 | Notizie

nutrigenetica

La Nutrigenetica è la scienza che studia i rapporti tra il patrimonio genetico (il cosiddetto genoma) e le molecole presenti negli alimenti. Le analisi genetiche consentono di comprendere come vengano assimilate e metabolizzate alcune sostanze che mangiamo tutti i giorni, in base al nostro DNA. È possibile quindi, fornire ad un medico o ad un nutrizionista, gli elementi necessari per stabilire un piano nutrizionale personalizzato in grado di prevenire o ritardare l’insorgenza di patologie correlate, direttamente o indirettamente, all’alimentazione.
I test permettono di stabilire raccomandazioni dietetiche in grado di ridurre al minimo il rischio di sviluppare specifiche patologie dovute ad una non corretta assunzione degli alimenti e di identificare eventuali intolleranze alimentari in modo da ripristinare in tempi brevi un equilibrio metabolico. Quindi:

• Stabilire raccomandazioni dietetiche in grado di ridurre al minimo il rischio di sviluppare specifiche malattie dovute ad una non corretta assunzione degli alimenti
• Identificare eventuali intolleranze alimentari in modo da ripristinare in tempi brevi un equilibrio metabolico. Lo specialista sulla base dei risultati di queste analisi potrà elaborare una dieta personalizzata ed efficace.

In questo articolo si vanno quindi ad analizzare nello specifico i geni responsabili delle intolleranze/sensibilità alimentari e quali possono essere i sintomi che potrebbero indicare un’anomalia genetica.


Intolleranza al lattosio

Gene coinvolto: LCT

A cosa serve il test?

L’intolleranza al lattosio, è l’incapacità di digerire il lattosio, zucchero presente nel latte, a causa di un deficit nell’enzima lattasi.
Questo enzima “rompe” il lattosio in due zuccheri più semplici, glucosio e galattosio, permettendone la digestione.
Quando ciò non avviene il lattosio rimane nell’intestino e causa problemi di fermentazione come meteorismo, gonfiore, flatulenza, oltre a richiamare acqua nel colon provocando dissenteria. Il test permette di valutare varianti genetiche dell’enzima lattasi e di definire un’intolleranza al lattosio di tipo primario.

Come funziona il test?

Il test è in grado di dare una risposta definitiva sull’intolleranza al lattosio, per questo viene eseguito una sola volta nella vita. Il test non è invasivo, viene infatti effettuato strofinando un piccolo tampone sulla parete interna delle guance per poi analizzare il materiale genetico in laboratorio (o può essere eseguito tramite un prelievo di sangue).
A differenza del breath test non c’è bisogno di una specifica preparazione ed il test non viene influenzato dall’assunzione di farmaci. Unica accortezza è quella di non aver introdotto sostanze in bocca nell’ora precedente l’analisi (i.e. colluttorio, cibo, fumo) in caso di tampone buccale.

A chi si rivolge il test?

Il test si rivolge a tutte quelle persone che manifestano una sintomatologia caratterizzata da gonfiore addominale, diarrea, presenza di gas intestinale, dolore addominale, crampi, nausea e flatulenza dopo l’assunzione di latte o alimenti contenenti lattosio.

Predisposizione genetica alla Celiachia
Geni coinvolti: HLA-DQA1/HLA-DQB1

A cosa serve il test?

La Celiachia è una patologia autoimmune verso la Gliadina, proteina del glutine contenuta in cereali come grano, orzo e segale: le cellule del sistema immunitario attivate dall’esposizione al glutine, attaccano la mucosa dell’intestino tenue e provocano un’infiammazione cronica, arrivando a distruggere i villi intestinali. La diagnosi precoce e il relativo intervento sono pertanto di basilare importanza per evitare che le conseguenze di questo stato infiammatorio portino ad altre patologie e diventino irreversibili.
Il test analizza l’eventuale presenza degli aplotipi di predisposizione alla celiachia (HLA-DQ2 e DQ8). L’aplotipo è la combinazione di varianti alleliche su un cromosoma, varianti strettamente associate tra loro e che tendono a essere trasmesse in blocco. Gli aplotipi HLA DQ2/DQ8 (i geni HLA-DQA1 eHLA-DQB1) risultano essere il principale fattore genetico di rischio della celiachia. Un risultato negativo al test assicura l’impossibilità di sviluppare il morbo celiaco nel corso della propria vita. La positività al test indica la predisposizione del paziente a manifestare la malattia ma non fornisce certezza che vi sia l’insorgenza della stessa. La presenza di tale condizione è indicativa di suscettibilità alla celiachia e non implica lo sviluppo della malattia, la cui diagnosi deve essere verificata mediante test sierologici (dosaggio degli anticorpi) e diagnosi clinica (biopsia intestinale).

Come funziona il test?

Il test genetico per la determinazione degli aplotipi di predisposizione (HLA-DQ2 e DQ8) permette di individuare la presenza di varianti sfavorevoli che rivelano una predisposizione genetica e permette di prevedere un iter diagnostico e/o terapeutico con un medico specialista. La presenza di predisposizione genetica inoltre suggerisce di estendere l’analisi ai familiari di primo grado che presentano un rischio aumentato di sviluppare la malattia celiaca rispetto alla popolazione generale.

A chi si rivolge il test?

Il test viene eseguito tramite prelievo ematico o tampone buccale e si rivolge a coloro che soffrono di stanchezza cronica, anemia da ferro, perdita di peso senza apparente causa, a chi ha familiari con Morbo Celiaco e a chi ha avuto una diagnosi poco chiara sulla celiachia. Il test genetico individua gli aplotipi di predisposizione (HLA-DQ2 e DQ8) rivelando una eventuale predisposizione genetica al Morbo Celiaco.

Sensibilità al Nichel
Geni coinvolti: FLG, TNFα

A cosa serve il test?

Il Nichel è un metallo presente in moltissimi alimenti oltre che nell’ambiente (i.e. fertilizzanti, gas di scarico delle macchine), negli indumenti, nei gioielli e nei prodotti cosmetici. I disturbi associati al Nichel derivano dall’accumulo dell’elemento assorbito dal corpo. il soggetto sensibile al Nichel deve quindi limitare le fonti con cui viene a contatto. Conoscerne l’eventuale sensibilità è fondamentale per mettere in atto le opportune strategie terapeutiche tra cui un piano alimentare personalizzato.

Perché fare il test?

Il test aiuta a capire se si è in grado di limitare gli effetti dovuti all’accumulo di nichel. Vengono analizzati due geni: il gene FLG che codifica per la filaggrina e il gene TNF-alfa che codifica per il fattore di necrosi tumorale alfa. La filaggrina è una delle proteine principali dello strato corneo della pelle e ha un ruolo fondamentale per il mantenimento delle funzioni più importanti dell’epidermide, in particolare nel preservare una corretta idratazione e nel costituire una barriera contro gli agenti esterni. In presenza di alcune mutazioni del gene FLG, è possibile avere importanti alterazioni della barriera cutanea, un aumento della secchezza della cute (xerosi) e una riduzione dello strato corneo (ittiosi). Questo determina una maggiore suscettibilità alla penetrazione di allergeni nella cute e quindi una maggiore predisposizione a sviluppare dermatite atopica e intolleranze, in particolare al nichel. Il fattore di necrosi tumorale alfa è invece una citochina che viene coinvolta nei processi infiammatori dell’organismo. Alcune varianti di questo gene possono comportare un aumento della risposta infiammatoria e lo sviluppo di allergia al nichel.

A chi si rivolge il test?

A tutte le persone che con il consumo di alimenti ricchi di nichel o con l’utilizzo di materiali contenenti nichel manifestano sintomi quali: prurito e dermatite da contatto in varie zone del corpo, afte o infiammazioni boccali e gengivali, gonfiori o crampi addominali, sbalzi di peso, nausea, gastrite e colite, malessere generale diffuso, cistite, difficoltà respiratorie, rinite, asma, tachicardia; vertigini, emicrania e giramenti di testa. I sintomi sono determinati dalla quantità di nichel che l’organismo ingerisce o con cui viene a contatto.

Sensibilità all’alcol
Geni coinvolti: ALDH2 – ADH1C – ADH1b (ADH2)

Il test è dedicato a chi, in seguito al consumo di sostanze alcoliche, presenta sintomatologie come congestione nasale e arrossamento della pelle. Il test individua le varianti dei tre geni coinvolti in tale sensibilità.

A cosa serve il test?

L’alcol etilico o etanolo, è una piccola molecola costituita da due atomi di carbonio, estremamente solubile sia nell’acqua sia nei lipidi. Per le sue ridotte dimensioni, penetra nei tessuti e nel flusso sanguigno piuttosto rapidamente diffondendosi in tutto l’organismo in breve tempo. I disturbi associati al consumo di alcol derivano dall’accumulo della sostanza assorbita dal corpo. La sensibilità all’alcol nasce dall’incapacità dell’organismo di metabolizzare correttamente le quantità assunte a causa di un difetto genetico che limita la produzione degli enzimi coinvolti nel processo. Il test serve per valutare la capacità di metabolizzare la sostanza in esame.

Perché fare il test?

Gli enzimi più importanti coinvolti nel metabolismo dell’alcol etilico sono l’alcol deidrogenasi (ADH) e l’acetaldeide deidrogenasi (ALDH), entrambi prodotti nel fegato. Alcune varianti genetiche dei geni che codificano per questi enzimi sono state associate al rischio di dipendenza dall’alcol e con la difficoltà di metabolizzarlo. I soggetti che metabolizzano più lentamente l’alcol risultano più sensibili ai suoi effetti tossici, che si manifestano con nausea, vomito, arrossamento, congestione nasale. L’alcol ha effetti psicotropi ovvero comporta alterazioni di coscienza e umore e può pertanto interferire con il normale comportamento di un individuo. Per valutare il consumo di alcol si usa l’unità alcolica che corrisponde a 12 grammi di etanolo. Secondo le linee guida dell’INRAN la soglia del consumo moderato di alcol per gli uomini e per le donne è pari rispettivamente a 2 e a 1 unità alcolica al giorno. Consumi superiori sono dannosi e sono considerati da forti bevitori. È importante sapere tuttavia che esistono importanti differenze genetiche tra popolazioni diverse che spiegano, almeno in parte, le differenze etniche nel consumo di alcol e nel disturbo in seguito al suo consumo.

Sensibilità alla caffeina
Gene coinvolto: CYP1A2

A cosa serve il test?

Il test permette di comprendere il livello di sensibilità alla caffeina che, pur essendo una sostanza naturale che agisce come energizzante e stimolante, se consumata in dosi eccessive può determinare in alcuni soggetti degli effetti negativi sull’organismo.

Perché fare il test?

Il test aiuta a capire se si è in grado di metabolizzare (eliminare dall’organismo) più rapidamente o meno la caffeina e quindi anche i suoi effetti. Viene analizzato il gene CYP1A2 che codifica per il citocromo P450 1A2, un enzima epatico responsabile della metabolizzazione della caffeina. In base alla costituzione genetica si possono produrre quantità più o meno variabili di questo enzima e quindi avere un effetto più o meno marcato in seguito all’assunzione di caffeina e del suo effetto sull’organismo. Le persone con sensibilità alla caffeina producono minori quantità di un enzima epatico chiamato CYP1A2. Questo enzima svolge un ruolo nella velocità con cui il fegato metabolizza la caffeina, quindi le persone con sensibilità alla caffeina impiegano più tempo per elaborare ed eliminare la caffeina dal loro organismo. Questo rende il suo impatto più intenso e durevole rispetto alla norma. Nei metabolizzatori lenti va posta quindi attenzione alla quantità di caffeina consumata in quanto è aumentato il rischio di infarto.

A chi si rivolge il test?

A tutte le persone che consumano regolarmente caffè o bevande, alimenti o integratori contenenti caffeina. In particolare, si rivolge ai soggetti che dopo l’assunzione di caffeina mostrano battito cardiaco accelerato, mal di testa, ansia e/o nervosismo, irrequietezza e insonnia.
La caffeina è una molecola presente in diverse specie vegetali tra cui caffè, tè, cacao, mate e guaranà, nonché in molte bevande energizzanti o gusto cola. Essa agisce come stimolante del sistema nervoso centrale che viene rapidamente assorbito nel tratto gastrointestinale. Per questi motivi le sue proprietà in ambito sportivo vengono sfruttate per ottenere un effetto ergogenico. Le informazioni ricavabili da questa variante in ambito sportivo consentono allo specialista in nutrizione sportiva di supportare oppure non supportare l’utilizzo della caffeina (integratori e/o bevande) negli atleti, soprattutto in coloro che effettuano gare di lunga durata o molto faticose dal punto di vista muscolare. Infatti fra gli altri effetti esplicati dalla caffeina c’è la diminuzione della produzione di acido lattico, sostanza responsabile della fatica e del “bruciore” del muscolo sotto sforzo.

Sensibilità all’istamina
Geni coinvolti: LCT

A cosa serve il test?

L’istamina viene sintetizzata dall’organismo a partire dall’istidina ma può essere anche introdotta attraverso l’alimentazione. Esistono cibi che portano a livelli elevati di istamina nel corpo e cibi che possono contenere alti quantitativi di istamina a causa della presenza di microrganismi o per modalità errate di conservazione. Quando si verifica un disequilibrio tra accumulo e degradazione di istamina all’interno dell’organismo dovuto ad un’alterazione della funzione degli enzimi coinvolti nella sua degradazione, si può andare incontro ad una intolleranza all’istamina. Il test analizza le varianti genetiche degli enzimi coinvolti nella degradazione di questa sostanza e la predisposizione a sviluppare la sensibilità all’istamina.

Perché fare il test?

il test aiuta a capire se si è in grado di metabolizzare (eliminare dall’organismo) l’istamina e quindi permette di determinare se possono verificarsi gli effetti dovuti ad una sensibilità a questa sostanza. Vengono analizzati la diammina-ossidasi (DAO) e l’istamina-N-metiltransferasi (HNMT), che sono i due geni che codificano per i due enzimi che permettono la degradazione dell’istamina e che sono presenti principalmente a livello intestinale. Alcune varianti che codificano per questi enzimi sono state associate a una maggiore predisposizione a sviluppare l’intolleranza all’istamina.

A chi si rivolge il test?

Il test si rivolge a tutte le persone che con il consumo di alimenti ricchi di istamina nell’arco di 45 minuti dall’assunzione manifestano sintomi quali: disturbi gastrointestinali, mal di testa, eruzioni cutanee, prurito, orticaria, asma, difficoltà respiratorie, nausea, palpitazioni, vertigini, irritazione della mucosa nasale, naso che cola e/o naso chiuso o dismenorrea.

 

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